Presentata al Ministero Della Salute la richiesta ufficiale di inserimento nei LEA di vulvodinia e neuropatia del pudendo: “lo stato non può continuare a voltarsi dall'altra parte”
«A distanza di 2 anni dal deposito multipartisan della Proposta di Legge per il riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo nei LEA, la situazione per noi pazienti non è cambiata, anzi. Il grande lavoro di divulgazione svolto sui social network e nelle piazze non ha avuto risposte dalle istituzioni. Siamo sempre più esposte agli incrementati costi della sanità privata e alle speculazioni delle case farmaceutiche che ci hanno individuate come una grande fetta di mercato particolarmente redditizia e che ci propinano nuovi dispositivi medici senza che il riconoscimento della malattia permetta studi scientifici randomizzati volti a dimostrarne l’efficacia e, di conseguenza, la rimborsabilità. La nostra malattia, diventata quasi “una moda”, è in realtà fonte di sofferenza, invalidità e profonde disuguaglianze. La spesa media, per chi ne ha la possibilità, è di 300-500 euro al mese , ed è facile da intuire il grado di rinunce e privazioni che si è costrette a gestire nella vita quotidiana per far fronte alle cure e anche solo per arrivare alla corretta diagnosi» – spiega il Comitato Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo, che raccoglie le associazioni che in Italia si occupano di queste due sindromi (AIV- Associazione Italiana Vulvodinia Onlus, AINPU Onlus – Associazione Italiana Neuropatia del Pudendo), pazienti che vivono le malattie sulla propria pelle e professioniste/i che sul territorio nazionale si sono distinti per l’impegno nella clinica e nella ricerca su queste patologie.
«Poiché al cambio della legislatura ci è stato espressamente detto da tutti i partiti che questa non è una loro priorità politica, abbiamo cambiato strategia. Quest’anno abbiamo lavorato alla formale richiesta di riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo nei LEA come malattie croniche e invalidanti secondo l’iter ufficiale proposto dal Ministero della Salute, corredata da un dossier scientifico che riporta le principali e più attuali evidenze scientifiche e che è scaricabile liberamente dal nostro sito. Sappiamo che non sarà facile nemmeno questo percorso perché non sono ancora state attuate neppure le revisioni dei LEA del 2020. In Italia i soldi per la sanità non bastano più nemmeno per curare le malattie già riconosciute, figuriamoci la fatica che occorre per ottenere un ampliamento dei LEA. Eppure il dato epidemiologico delle nostre malattie è incredibilmente alto, pari a 1 su 7».
La proposta di legge presentata nel 2022 richiede il riconoscimento di vulvodinia e neuropatia del pudendo nei Livelli Essenziali di Assistenza come malattie croniche e invalidanti; l’individuazione di un presidio pubblico specializzato in ogni regione d’Italia; l’istituzione di una commissione nazionale finalizzata ad emanare le linee guida per i Piani Diagnostici Terapeutici Assistenziali; l’istituzione di un registro nazionale per la raccolta dati; la promozione della formazione medica obbligatoria; finanziamenti per il sostegno alla ricerca; accesso agevolato alla didattica a distanza per studenti; accesso agevolato al telelavoro e allo smart working per lavoratrici e lavoratori e un incremento dei permessi per malattia in base alla gravità della patologia; attività di prevenzione primaria nelle scuole, campagne di sensibilizzazione e informazione; istituzione di una giornata nazionale per la consapevolezza su vulvodinia e neuropatia del pudendo in data 11 novembre (data che esiste già informalmente e che è conosciuta come Vulvodinia Day, ideata dall’Associazione Vulvodiniapuntoinfo ONLUS – la stampa italiana ne parlò per la prima volta nel 2016).
Afferma ancora il Comitato: «L’11 Novembre, proprio in occasione della giornata per la vulvodinia e neuropatia del pudendo, ci mobiliteremo con una campagna social di pressione che supporti la nostra richiesta al Ministero. Il vuoto dello Stato e del Servizio Sanitario Nazionale nel trattamento di queste sindromi è tale da precludere in numerosi casi l’accesso alla diagnosi e alle cure, a causa dell’assenza di specialisti formati nelle strutture pubbliche. Queste malattie esistono e con una diagnosi precoce si possono curare: lo Stato non può continuare a far finta che non esistiamo».